Cinema_italiano VOM 24. SEPTEMBER BIS ENDE DEZEMBER 2012 IM KINO:
5 NEUE ITALIENISCHE FILME IN SCHWEIZER KINOPREMIERE UND MIT DEUTSCHEN UNTERTITELN.

5 NUOVI FILM ITALIANI IN PRIMA VISIONE SVIZZERA:
DAL 25 SETTEMBRE FINO ALLA FINE DEL 2012


PROGRAMMHEFT ALS PDF

Happy_Family
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HAPPY FAMILY
von Gabriele Salvatores.

Drehbuchautor Ezio befände sich auf dem Weg zum Erfolg, wäre da nicht ein kleines Problem: Er soll einen Film über zwei chaotische und schrullige Mailänder Familien schreiben, deren Wege sich in jenem Moment kreuzen, in dem ihre 16jährigen Sprösslinge zu heiraten beschliessen. Ezio kommt mit Schreiben nicht voran, schon allein deswegen nicht, weil seine Figuren sich verselbstständigen und aus dem Drehbuch ausbrechen. Ungeniert wenden sie sich ans Kinopublikum, kritisieren ihren Erfinder, und jede fordert für sich eine bedeutendere Rolle ein. Schliesslich schreibt sich Ezio mitten in die Handlung hinein. Doch seine Figuren haben inzwischen auf eigene Faust ein gemeinsames Familientreffen angesetzt, um die Hochzeit zu planen. Mit ungeahnten Folgen.
Acht Figuren auf der Suche nach ihrem Autor. Ein sommerliches Mailand, das plötzlich märchenhaft bunt strahlt. Ein Drehbuch, das vor unseren Augen lebendig wird. Und zwei Familien, die man nicht so schnell vergisst. Gabriele Salvatores' intelligente, witzige und rasante Neuinterpretation von Pirandellos Theaterklassiker ist auch ein Fest für einige der besten italienischen Schauspieler der Gegenwart.

Zwei lebendige, glückliche, verworrene Familien von heute, in denen die Eltern noch viel ausgeflippter sind als ihre Kinder. Im Mittelpunkt steht die Suche nach dem Glück. Manchmal ist es das Leben, das uns daran hindert, glücklich zu sein. Manchmal stellen wir uns auch selbst Hindernisse in den Weg und bauen unüberwindbare Barrieren um uns auf. Das tut auch der Autor, um den sich der Film dreht. Ezio zieht es vor, Liebesgeschichten zu schreiben, anstatt selbst eine zu erleben, weil er furchtbare Angst davor hat. Aber ist das nicht absurd?
Gabriele Salvatores

Ein unterhaltsamer Film, klug, unerwartet, bunt, sogar optimistisch. Eine meisterhafte Regieleistung von Gabriele Salvatores, der auch die exzellenten Darsteller virtuos führt. Der ganze Film ist dabei voller Täuschungen. Er erscheint realistisch und wird dennoch vom Öffnen und Schliessen eines roten Theatervorhangs bestimmt. Er scheint einfach zu sein und doch behandelt er einen der berühmtesten Bühnenstoffe der Welt, den Konflikt zwischen Autor und Figuren. Figuren, die Forderungen stellen und rebellieren. Ein Autor, der diese Figuren satt hat und in der Angst lebt, eine von ihnen zu werden, genau wie in Luigi Pirandellos Stück "Sei personaggi in cerca d'autore" (Sechs Personen suchen einen Autor).
Lisetta Tornabuoni, La Stampa

Gabriele Salvatores, 1950 in Neapel geboren und in Mailand aufgewachsen, wo er an der Accademia del Piccolo Teatro studierte. 1972 gründete er das Teatro dell'Elfo und arbeitete hier bis 1989. Sein Kinodebüt hatte er 1983 mit "Sogno di una notte d'estate". Mit seinem Film "Mediterraneo" (1991) gewann er den Oscar für den besten fremdsprachigen Film. Er gehört zu den bekanntesten und erfolgreichsten italienischen Regisseuren der Gegenwart.

Regie: Gabriele Salvatores
Drehbuch: Alessandro Genovesi, Gabriele Salvatores
Kamera: Italo Petriccione
Schnitt: Massimo Fiocchi
Ausstattung: Rita Rabassini
Darsteller: Fabio De Luigi (Ezio), Diego Abatantuono (Papà), Fabrizio Bentivoglio (Vincenzo), Margherita Buy (Anna), Carla Signoris, Valeria Bilello, Corinna Agustoni
Italien 2010, 90 Minuten, 35mm mit deutschen Untertiteln.

C'è uno sceneggiatore che volendo scrivere un film sceglie diversi personaggi che parlano direttamente agli spettatori, intervengono a criticare quanto lo scrittore va scrivendo o a protestare quando l'autore li lascia in sospeso o medita di abbandonarli. C'è la vicenda di due famiglie che nulla hanno in comune ma che s'intrecciano a causa di ragazzo e ragazza sedicenni decisi a sposarsi subito, poi pronti a rinunciare al proposito (che ha tanto turbato le due famiglie abituate a prendere sul serio ogni stupidaggine degli adolescenti), mentre le due famiglie si sono ormai incontrate, hanno fatto amicizia, sembrano quasi parenti. C'è uno dei padri, Fabrizio Bentivoglio, distaccato e crudele, malato e invaso dal pensiero della morte. C'è l'altro padre, Diego Abatantuono monumentale, capace di diffondere vitalità e calore. C'è una nonna smemorata che ricorda soltanto l'etichetta e la cucina, le regole e le pietanze.

La famiglia a cui fa riferimento il film, il titolo, un po' è soltanto un pretesto, una scusa, se volete, per raccontare qualcosa di più grande, la società, noi, che abitiamo questo pianeta. Nella costituzione francese, anche in quella americana, ed è interessante, è sancito il diritto alla felicità, in quella italiana invece no, ma non vuol dire che non si debba cercarla. Perché, a volte, è la vita ad impedirti di essere felice, a volte siamo noi che ci creiamo delle barriere, degli ostacoli insormontabili, come lo scrittore al centro del film, Ezio, che preferisce scrivere storie d'amore piuttosto che viverle, visto che ne ha il terrore, ma non è assurdo?
Gabriele Salvatores

Otto personaggi in cerca d'autore. Una città grigia come Milano ridipinta in colori squillanti da musical anni '50, o da sogno a occhi aperti. Una sceneggiatura che si anima sotto i nostri occhi, come un teatro di pupi, con tanto di palcoscenico e sipario, confondendosi con l'immaginazione del suo autore Fabio De Luigi, che a momenti entra egli stesso nella sua storia, mescolandosi ai personaggi. Mentre ogni scena, malgrado le gag, l'allegria ribadisce i sentimenti di fondo. Malinconia, sconforto, incertezza. Paura. Di annoiarsi, di essere felici, di puzzare, di crescere, di morire, di svegliarsi disamorati o omosessuali. Non una paura in particolare, ma il sentimento proteiforme e appiccicoso di questi anni di plastica. La forza di Happy Family è questo procedere per contrasto. Gag e paure. Battute e batoste. Colori e cupezza. Come se la complessità del mondo oggi si potesse rappresentare solo così, obliquamente.
Fabio Ferzetti, Il Messaggero

Commedia umana da ridere e da piangere, divertente, intelligente, imprevista, colorata, persino ottimista, che Gabriele Salvatores ha diretto benissimo, guidando gli attori in modo magistrale, traendola dall'omonimo testo teatrale di Alessandro Genovesi. Happy Family, avvisa il regista, non è una marca di biscotti inglesi per famiglia o un titolo brioso, si riferisce invece alla famiglia umana e alla sua capacità di sopravvivenza. Ma tutto il film è un rosario di inganni. Sembra realistico, invece si apre e si chiude con un sipario di velluto rosso da teatro. Sembra semplice, invece adotta l'artificio teatrale più famoso al mondo, il conflitto tra autore e personaggi, con i personaggi che esigono o protestano, con lo scrittore stufo d'averli ideati e che ha paura di diventare uno di loro, come nei Sei personaggi in cerca d'autore di Luigi Pirandello. Sembra amoroso, invece racconta la paura indefinita in cui tanti sono immersi. Happy Family fa riflettere e dà un'impressione di leggerezza, grazia e letizia. Manda in estasi con la sua colonna sonora quasi tutta Simon & Garfunkel, col suo finale che consente ad altre storie di cominciare, quando cala il sipario.
Lietta Tornabuoni, La Stampa

Gabriele Salvatores (Napoli, 1950), cresce a Milano, dove studia all'Accademia del Piccolo Teatro, prima di fondare nel 1972 il Teatro dell'Elfo, con il quale lavora fino al 1989. Nel 1983 esordisce nel cinema con Sogno di una notte d'estate. Vince l'Oscar nel 1991 con Mediterraneo.

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Into_Paradiso
Into_Paradiso
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INTO PARADISO
von Paola Randi.

Neapel und die irrwitzige Geschichte dreier Männer, die unterschiedlicher nicht sein könnten. Alfonso, der schüchterne, soeben arbeitslos gewordene Wissenschafter, Vincenzo, der in korrupte Machenschaften verwickelte Politiker auf Wahlkampftournee, und der ehemalige Kricket-Champion Gayaan aus Sri Lanka, der auf der Suche nach dem Paradies ausgerechnet in Neapel gelandet ist. Durch haarsträubende Verwicklungen müssen die Drei für einige Zeit in einer illegal errichteten Hütte auf einem Hausdach mitten in einem Migrantenviertel Unterschlupf suchen, denn Auftragskiller der Camorra sind Vincenzo und Alfonso auf den Fersen. Gut, dass Gayaan auf die Hilfe seiner Landsleute aus Sri Lanka bauen kann.
Eine witzige, abgedrehte und einfallsreiche Komödie über Freundschaft und multikulturellen Gemeinschaftssinn. Paola Randis Erstlings­film ist wahrlich eine Entdeckung.

Mit "Into Paradiso" wollte ich mit Leichtigkeit und Ironie das multiethnische Italien von heute darstellen. Die Idee entstand, als ich in Neapel eine wunderliche Szene beobachtete. In einer Ecke der Piazza Dante spielte eine Gruppe neapolitanischer Jungs Fussball mit einem Tennisball. Gegenüber spielten etwa zehn junge Sri Lanker Kricket. Das war das Bild, das ich suchte. Ich wollte erzählen, was geschehen könnte, wäre ein Italiener in seiner eigenen Stadt gezwungen, im Viertel der Zuwanderer zu leben. Im Grunde war es meine Absicht, ein optimistisches Märchen zu schaffen.
Paola Randi

Das Filmdebüt der Mailänderin Paola Randi, deren Arbeit von Malerei, Theater und Videokunst geprägt ist, setzt eine Fülle visueller und erzählerischer Ideen um, wie es für das italienische Kino vielleicht einzigartig ist. Mit einem leichten, aber dennoch alles andere als oberflächlichen Blick leuchtet der Film das Nebeneinander von Kulturen aus. Ohne teure Stars, dafür mit einer pfiffigen Handlung, die nie ins Stolpern gerät, ist "Into Paradiso" komischer, poetischer und innovativer als so mancher Film, der all dies auch für sich beansprucht.
Fabio Ferzetti, Il Messaggero

"Into Paradiso" ist ein grossartiger kleiner Film, der allein schon deshalb Aufmerksamkeit verdient, weil er an etwas glaubt. An die schöpferische Kraft des Films und den inneren Zerfall der Camorra. Eine Low Budget-Komödie, die auf originelle Weise ein multiethnisches Italien einfängt, in dem Arbeitslose und Migranten an derselben Identitätskrise leiden. Eine treffende und perfekt aufeinander eingespielte Besetzung, ein vielseitiger soziologischer Blick, ein auf nüchterne Weise fantasievoller Stil.
Federico Pontiggia, Il Fatto Quotidiano

Paola Randi, 1970 in Mailand geboren, machte ihren Universitätsab­schluss in Jura und studierte Malerei. 1996 gründete sie die Zeitschrift TTR, die sich mit Theater und Kunst auseinandersetzt. 2003 wendete sie sich dem Film zu: Ihr Regiedebüt legte sie 2008 mit dem Kurzfilm "La Madonna della frutta" vor, bevor sie "Into Paradiso" drehte.

Regie: Paola Randi
Drehbuch: Antonella A. Paolini, Paola Paolini, Luca Infascelli, Chiara Barzini
Kamera: Mario Amura
Schnitt: Gianni Vezzosi
Ausstattung: Paki Meduri
Musik: Fausto Mesolella
Produktion:Fabrizio Mosca für Acaba Produzioni
Darsteller: Gianfelice Imparato (Alfonso D'Onofrio), Saman Anthony (Gayaan), Peppe Servillo (Vincenzo Cacace), Eloma Ran Janz (Giacinta), Gianni Ferreri (Colasanti), Shatzi Mosca (Venezia)
Italien 2011, 104 Minuten, 35mm mit deutschen Untertiteln.

Alfonso, timido e impacciato scienziato napoletano disoccupato, e Gayan, affascinante ex campione di cricket srilankese che non ha più un soldo e che è giunto a Napoli in cerca del Paradiso, si troveranno loro malgrado obbligati a convivere in una catapecchia eretta abusivamente sul tetto di un palazzo nel cuore del quartiere srilankese della città partenopea. La paradossale situazione farà nascere tra i due una speciale amicizia che li aiuterà a trovare il coraggio di cambiare il loro destino per sempre.

Con Into Paradiso volevo raccontare l'Italia multietnica, come è oggi, con leggerezza e ironia e cercavo un luogo che fosse giusto. L'idea è nata da un'immagine. Un giorno mi trovavo a Napoli, in piazza Dante, e vedo una scena curiosa: da un lato della piazza un gruppo di scugnizzi gioca a calcio, con una pallina da tennis, dal lato opposto una decina di ragazzini srilankesi giocano a cricket. Era l'immagine che cercavo. Sono stata a Napoli alcuni mesi per fare ricerche. E ho cercato di raccontare che cosa potrebbe succedere se un italiano, nella propria città, fosse costretto a vivere nel quartiere degli immigrati. Mi è sembrato che il protagonista più adatto fosse uno scienziato precario e non più giovane che perde il lavoro e si trova così a vivere un'esperienza di straniamento. In fondo, la mia intenzione era di raccontare una favola, con un messaggio di speranza.
Paola Randi

Che cosa ci fanno insieme uno scienziato che ha appena perso il lavoro, un ex-campione di cricket venuto dallo Sri Lanka a Napoli per fare il badante, un politico colluso e corrotto, più un imprecisato numero di killer della camorra in cerca di una pistola che scotta? Semplice: danno vita alla commedia più insolita, strampalata e sofisticata vista da molto tempo in qua nel nostro cinema: Into Paradiso dell'esordiente Paola Randi, 40enne milanese che viene da pittura, teatro e videoarte. Insolita per l'ambientazione. Strampalata perché cala situazioni classiche in mondi di grande esuberanza espressiva. Sofisticata perché su questo impianto non inedito innesta un gusto delle psicologie, dell'ambientazione, dei dettagli, ovvero una quantità di idee visive e di racconto, forse unica per il nostro cinema. Con uno sguardo lieve ma non banale su quella convivenza fra mondi e culture che è uno degli snodi fondamentali della modernità. Ed Into Paradiso, col suo cast senza stelle e la sua andatura senza inciampi finisce per essere più comico, poetico e inventivo di film con ben altre strutture e ambizioni alle spalle.
Fabio Ferzetti, Il Messaggero

Una città, Napoli, e tre uomini: lo scienziato licenziato e stralunato Gianfelice Imparato, il politico colluso con la camorra Peppe Servillo e un ex campione di cricket srilankese (il deb Saman Anthony), costretti a convivere in un attico fatiscente del Cavone per sottrarsi ai sicari. Diretto dall'esordiente milanese Paola Randi, è Into Paradiso, commedia low budget surreale e scanzonata che fotografa una Italia multietnica, dove precari e migranti si nutrono della stessa crisi d'identità, ma senza drammatizzare. Con un ottimo e affiatato cast, un interessante sguardo sociologico, uno stile sobriamente fantasioso, è un piccolo, grande film che merita una possibilità, se non altro, perché crede: nel potere immaginifico del cinema e nell'implosione della camorra.
Federico Pontiggia, Il Fatto Quotidiano

Paola Randi (Milano, 1970), si laurea in giurisprudenza e studia pittura. Lavora per 12 anni nel settore del non profit, collaborando con ONG internazionali. Nel 1996 fonda una rivista, TTR, sul teatro e le arti visive. Dal 2003 è attiva nel cinema ed esordisce nella regia nel 2008 con il corto La Madonna della frutta, prima di realizzare Into Paradiso.

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Lo_spazio_bianco
Lo_spazio_bianco
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LO SPAZIO BIANCO
DER WEISSE RAUM
von Francesca Comencini.

Maria ist Anfang 40, lebt in Neapel und unterrichtet an einer Abendschule. Unabhängig und dynamisch, scheint sie ihr Leben im Griff zu haben. Dass sie einsam ist, fällt ihr selber gar nicht auf. Nach einer flüchtigen Liebesbeziehung wird Maria schwanger. Sie entschliesst sich, das Kind zu behalten; doch im sechsten Monat erleidet sie eine Frühgeburt. Das Baby hat nur im Brutkasten eine Überlebenschance. Drei geschlagene Monate lang muss Maria warten. Aber Warten ist das, was Maria am schlechtesten kann. Auf langen Spaziergängen, mit Lektüre und Kino versucht sie sich vergeblich abzulenken. Zur Ruhe kommt sie allein in dem von weissen Vorhängen umgebenen Raum, in dem der Brutkasten ihrer Tochter steht. Ihr wird ihr klar, dass sie das wirkliche Leben bisher kaum wahrgenommen hat. Was bedeutet Leben überhaupt?

Der weisse Raum basiert auf dem Roman von Valeria Parrella (deutscher Titel: "Zeit des Wartens"). Schauspielerin Margherita Buy erhielt beim Festival von Venedig den Preis als beste Darstellerin. Francesca Comencinis sensible Verfilmung verbindet das psychologische Porträt einer Frau am existenziellen Wendepunkt mit einer intensiven filmischen Beschreibung der Stadt Neapel.

Seit meiner Jugend musste ich das Recht der Frau verteidigen, keine Kinder zu bekommen. Und dann wurde ich mit zwanzig schwanger. Dieser Film gab mir die Möglichkeit, darüber zu sprechen, worüber ich am meisten weiss: was es heisst, eine Frau zu sein, was es heisst, Mutter zu sein. (...) Ein Mann ist der beste Freund meiner Protagonistin. Auf der Basis von Respekt und gegenseitiger Kenntnis ist eine neue Übereinkunft zur Freundschaft zwischen den Geschlechtern denkbar.
Francesca Comencini

Ein aussergewöhnlicher und bewegender Film. Margherita Buy verleiht ihm mit ihrer schauspielerischen Leistung nicht nur eine besondere Überzeugungskraft, sondern schafft auch eine Atmosphäre kribbeliger Dynamik, von der die Handlung getragen wird. "Lo spazio bianco" gehört zu den wenigen Verfilmungen eines Buches, die gelungener sind als ihre literarische Vorlage.
Lietta Tornabuoni, La Stampa

In der Verfilmung fügt Francesca Comencini im Vergleich zum Roman eine bedeutende Änderung ein: Sie verwandelt die private Erfahrung einer Frau in eine Geschichte mit einem weitaus öffentlicheren Ansatz. Die Ängste einer Mutter werden damit zum Ausgangspunkt einer allgemeinen Reflexion über die Situation der Frau, über Männer, die sich aus der Verantwortung stehlen, und über die Rückständigkeit der Bürokratie. Margherita Buy verkörpert ausdrucksvoll jene unterdrückte Wut und innere Traurigkeit, die ihre Figur auszeichnen.
Paolo Mereghetti, Corriere della Sera

Francesca Comencini, 1961 in Rom geboren, ist die Tochter des Regisseurs Luigi Comencini. Nach ihrem Philosophiestudium zog sie 1982 vorübergehend nach Frankreich. Ursprünglich wollte sie Schriftstellerin werden, 1985 drehte sie den autobiografischen Film "Pianoforte", der auf den Filmfestspielen in Venedig ausgezeichnet wurde. "Mi piace lavorare" (Mobbing) erhielt 2004 bei der Berlinale den Preis der ökumenischen Jury.

Regie: Francesca Comencini
Drehbuch: Francesca Comencini, Federica Pontremoli, nach dem gleichnamigen Roman von Valeria Parrella
Kamera: Luca Bigazzi
Schnitt: Massimo Fiocchi
Ausstattung: Paola Comencini
Musik: Nicola Tescari
Darsteller: Margherita Buy (Maria), Gaetano Bruno (Giovanni Berti), Giovanni Ludeno (Fabrizio), Antonia Truppo (Mina)
Italien 2009, 98 Minuten, 35mm mit deutschen Untertiteln.

Maria ha più di quarant'anni ma non li dimostra, insegna in una scuola serale, è una donna libera, dinamica. Ha l'arroganza di chi ha superato la condizione di partenza con la determinazione, china sui libri che le hanno permesso di stabilire le sue certezze tra un padre rigidamente comunista e una madre cattolica. Quando al sesto mese di gravidanza Maria partorisce una figlia che, come le dice il medico, "potrebbe morire subito, o sopravvivere con gravi handicap, oppure stare bene, lei lo sa?" è messa di fronte alla necessità di colmare il vuoto tra il tempo canonico della gravidanza e quello dell'avvenuta nascita della figlia. Maria allora scopre che quello che non sa proprio fare è aspettare. Tenta di farlo, soprattutto leggendo libri, strategia che conosce bene e che le ha sempre permesso di isolarsi dal resto del mondo. Ma questa volta è proprio la lettura che rischia di mettere in crisi le sue certezze, la sua identità. Intanto intorno a lei continua la sua corsa la città, che si percepisce attraverso la scuola serale o gli avvenimenti all'ospedale. Maria arriva a rendersi conto che il suo consueto spazio bianco è ormai svuotato e che la vita vera non è quella che lei finora ha visto da lì. E poi che cosa significa davvero vivere? Non resta che l'attesa, che è tutta sua, a cui forse vale la pena di addestrarsi.

Al centro di Lo spazio bianco è una donna di 42 anni che si sente ancora una ragazzina, ma a volte anche vecchia, una donna che non fa mai quello che ci si aspetta da una persona della sua età; una donna che ha fatto le cose da sola e non ha mai aspettato che un uomo le facesse al suo posto. Maria insegna in una scuola serale, prepara persone più grandi di lei all'esame per il diploma di terza media, è tenace, è sentimentalmente sola. Ed è una donna che mette al mondo da sola, senza aiuti, il proprio figlio. E' una situazione che può capitare, e non per forza deve essere negativa, non è questo il punto dolente. Ma ci vorrebbe un nuovo patto di amicizia tra i sessi, tra uomini e donne, basato sulle regole del rispetto e della conoscenza reciproca. La mia protagonista ha come migliore amico un uomo.
Francesca Comencini

Lo spazio bianco è un film fuori del comune, intenso, tutto interiore, toccante, al quale Margherita Buy non soltanto dà una speciale eloquenza, ma regala con la sua interpretazione un dinamismo nervoso che sostiene tutta la vicenda: ed è uno dei rari casi in cui il film ha la meglio sul romanzo (di Valeria Parrella, Einaudi) da cui deriva.
Lietta Tornabuoni, La Stampa

Portando sullo schermo il libro di Valeria Parrella Lo spazio bianco, Francesca Comencini opera un piccolo ma significativo cambiamento, trasformando l'esperienza sostanzialmente privata di una donna a cui nasce una figlia al sesto mese di gravidanza in una storia più dichiaratamente pubblica, dove le angosce e le paure di una madre diventano occasione per riflessioni più generali, sulla condizione della donna, sulla latitanza degli uomini, sull'arretratezza della burocrazia, sul rapporto medici-pazienti. Coerentemente con l'andamento un po' ondivago degli avvenimenti, Francesca Comencini adotta uno stile di riprese molto spoglio, dove il percorso temporale perde la sua linearità, mentre i silenzi prendono il posto delle parole. Una scelta che si regge soprattutto sull'ottima prova d'attore di Margherita Buy, che sa dare quella carica di rabbia trattenuta e di rassegnata infelicità che identificano il suo personaggio.
Paolo Mereghetti, Corriere della Sera

Francesca Comencini (Roma, 1961) è figlia del regista Luigi Comencini. Studia filosofia, prima di dedicarsi al cinema, collaborando, fra l'altro, col padre per Un ragazzo di Calabria (1987) e Marcellino (1991). E' anche regista di documentari, fra cui Carlo Giuliani, ragazzo, sul G8 a Genova nel 2001 e In fabbrica, e ha partecipato ai film collettivi Un altro mondo è possibile, Visions of Europe e L'Aquila, sul terremoto in Abruzzo nel 2009.

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L_uomo_che_verra
L_uomo_che_verra
L_uomo_che_verra
L'UOMO CHE VERRÀ
EIN MENSCH WIRD KOMMEN
von Giorgio Diritti.

Das Jahr 1944: Die achtjährige Martina wächst als Kind einer einfachen Bauernfamilie in der rauen Bergwelt des Monte Sole unweit von Bologna auf. Die hart arbeitenden Eltern kommen knapp über die Runden. Seit ihr kleiner Bruder gestorben ist, spricht das Mädchen nicht mehr. Inzwischen erwartet ihre Mutter wieder ein Kind, und Martina ist glücklich und träumt von ihrem Brüderchen, das demnächst geboren wird. Währenddessen gerät das abgelegene Dorf immer mehr zwischen die Fronten des Krieges. Die in den Bergen verschanzten Partisanen liefern sich heftige Gefechte mit den deutschen Besatzungstruppen. In der Nacht zum 29. September 1944 wird Martinas Brüderchen geboren. Wenige Stunden später starten SS-Einheiten in der Region ihren Vergeltungsschlag.

"L'uomo che verrà" wurde mit dem italienischen Filmpreis David di Donatello als bester Film des Jahres 2010 ausgezeichnet. Eine kraftvolle und bewegende Geschichte über einfache Menschen, die von der Weltgeschichte überrollt werden. Vor allem aber ein Film über das Leben einer Familie und einer Dorfgemeinschaft, eingefangen in ebenso authentischen wie poetischen Bildern. Und im Zentrum ein kleines Mädchen, das Gutes wie Böses auf ganz eigene Weise verarbeitet.

Was vor 60 Jahren in Italien geschah, passiert heute in anderen Teilen der Welt. Wir müssen wachsam sein, damit Ideologien, die zu solchen Massakern führen, nicht wieder Fuss fassen. Das Massaker von Marzabotto am 28. September 1944 ist ein nie wirklich aufgearbeitetes Trauma der italienischen Geschichte geblieben. Dem Film ging eine jahrelange Vorarbeit voraus, zu der neben dem Studium von Dokumenten und Berichten auch die Begegnung mit Zeitzeugen gehörte. Menschen, die davon träumten, in Frieden ihre Kinder grossziehen zu können und die sich plötzlich von etwas bedroht sahen, dessen Sinn ihnen unklar blieb. Ich wollte die Ereignisse aus der Sicht eines Kindes zum Leben erwecken.
Giorgio Diritti

Filme wie "L'uomo che verrà" helfen uns, Abstand zu gewinnen von der Plastikästhetik der Fernsehfilme und vom Hollywood-Kino. Sie versetzen uns in die Lage, uns mit der wahren Kraft von Bildern und der Filmkultur auseinanderzusetzen. Einer Kultur der Emotionen, der Reflexion und der Anregung zum eigenen Denken. "L'uomo che verrà" bezieht seinen Rhythmus aus dem Verlauf der Jahreszeiten, der zehn Monate zwischen Dezember 1943 und Oktober 1944. Gekonnt weicht Giorgio Diritto jenen Gefahren aus, die die Aufarbeitung historischer Vorfälle in sich birgt, und in der Darstellung des Todes beweist er mutige Bescheidenheit. Vor allem aber ist "L'uomo che verrà" ein Loblied auf das Leben, mitgetragen von einer hervorragenden Besetzung aus professionellen Schauspielern und Laiendarstellern.
Paolo Mereghetti, Corriere della Sera

Giorgio Diritto hat seinen Film im Dialekt der Emilia-Romagna gedreht, wie er es bereits in seinem Debüt "Il vento fa il suo giro" (Der Wind zieht seinen Weg, Teil von Cinema italiano 2009) getan hat. Ein dörflicher Mikrokosmos, in den die Aussenwelt einbricht - sicher ist dies ein Genre, das dem Regisseur entspricht und das ihm erlaubt, das risikoreiche Unterfangen eines realistischen Geschichtsfilms mit märchenhaften Elementen und der Absurdität der Gewalt in Einklang zu bringen.
Cristina Piccino, Il Manifesto

Giorgio Diritti, geboren 1959 in Bologna, lernte autodidaktisch bei renommierten Filmschaffenden wie Carlo Lizzani, Lina Wertmüller und Pupi Avati.

Regie: Giorgio Diritti
Drehbuch: Giorgio Diritti, Giovanni Galavotti, Tania Pedroni
Kamera: Roberto Cimatti
Schnitt: Giorgio Diritti, Paolo Marzoni
Ausstattung:Giancarlo Basili
Musik: Marco Biscarini, Daniele Furlati
Darsteller: Greta Zuccheri Montanari (Martina), Alba Rohrwacher (Beniamina), Maya Sansa (Lena), Claudio Casadio (Armando), Stefano Bicocchi, Eleonora Mazzoni
Italien 2010, 117 Minuten, 35mm mit deutschen Untertiteln.

1943/1944. Martina ha 8 anni ed è l'unica figlia di una coppia di poveri contadini. La sua famiglia vive in un paesino alle pendici di Monte Sole e la bambina ha smesso di parlare qualche anno prima quando il suo fratellino è morto dopo pochi giorni di vita. La sua mamma è di nuovo incinta e Martina trascorre le sue giornate aspettando e sognando il suo 'nuovo' fratellino. Nel frattempo la vita diventa ogni giorno più difficile: il paesino dove vivono è stretto tra le brigate partigiane del comandante Lupo e i nazisti che avanzano e diventa sempre più impossibile non fare i conti con la realtà della guerra. Nella notte tra il 28 e il 29 settembre del 1944 finalmente nasce il bambino e poche ore dopo le SS iniziano un rastrellamento senza precedenti. E' l'inizio di quella che verrà ricordata come la strage di Marzabotto in cui persero la vita 780 civili, in maggioranza donne e bambini.

L'Italia, non soltanto il nostro cinema, ha come rimosso le pagine più efferate della sua recente storia nazionale. Non si sono fatti i conti con quella che è stata una guerra civile, anche se non dichiarata. Si è preferito fare film sugli stereotipi della Resistenza, oppure cedere ai trionfalismi, invece di tener conto delle sfaccettature della Storia, di cui è importante mantenere viva la memoria. Quanto accadde sessant'anni fa in Italia, oggi è d'attualità altrove, e dobbiamo vigilare perché non riprendano piede ideologie come quelle che hanno portato a queste stragi. A monte del film c'è un lavoro di preparazione che è durato molti anni, durante i quali, accanto allo studio e alla lettura dei documenti, ci sono stati anche gli incontri con i sopravvissuti e i partigiani, con le persone che hanno vissuto quegli avvenimenti. Gente normale che sognava di vivere amandosi e crescendo i propri figli, e improvvisamente si trovò travolta da qualcosa di esterno di cui non capiva il senso. Fu una strage degli innocenti, e ho voluto raccontarla attraverso gli occhi di una bambina, Martina, in cui ogni spettatore può riconoscersi.
Giorgio Diritti

L'uomo che verrà è un film senza eroi, un film che fa della coralità la sua poesia in cui bravi attori si mescolano a non professionisti, a volti più giovani, in una trama umana ed emozionale. E' il ritratto di un'esistenza collettiva come obbliga il quotidiano incerto della guerra, ove la morte fa parte della vita e così la paura, la fatica, la fame. La sola ad uscire fuori è la ragazzina, Martina, che conosce tutto, che guarda tedeschi e partigiani uccidersi gli uni con gli altri, assiste ai momenti di dolcezza e alle grida di dolore. Che tace e scivola via quando il mercante le regala caramelle e le mette le mani sulle cosce, vede i paracadutisti scendere giù dal cielo e la mamma morire. E combatte per salvarsi, per salvare il fratellino e portarlo via. Giorgio Diritti ha girato in dialetto emiliano, come fece per il suo esordio, Il vento fa il suo giro, parlato in occitano. Anche stavolta predilige una comunità, con al centro la famiglia protagonista che concentra molte storie ascoltate, ed è senz'altro una dimensione che gli corrisponde. E gli permette di controbilanciare l'eccesso di artificio rischioso in un film "in costume" in atmosfere reali, nell'elemento fiabesco orrorifico e nell'assurdità di quella violenza.
Cristina Piccino, Il Manifesto

Film come L'uomo che verrà aiutano ad allontanarsi dall'estetica di plastica delle fiction televisive, del cinema hollywoodiano, per tornare a misurarsi con la vera forza delle immagini e con la grande scommessa del cinema. Che è quella di emozionare e insieme far riflettere. Ritmato dal passare delle stagioni, il film racconta dieci mesi, dal dicembre '43 ai primi di ottobre del '44, di una famiglia di contadini nei pressi di Marzabotto. Recuperando una moralità troppe volte dimenticata, evitando qualsiasi gratuita spettacolarizzazione, Giorgio Diritti non ci racconta uno dei tanti eccidi dell'ultimo conflitto ma il destino di vittime che la guerra fa cadere sulle persone: evita le trappole della revisione storiografica, dimostra un pudore coraggioso di fronte alla messa in scena della morte e riesce a fare un film che è soprattutto un inno alla vita, aiutato in questo da un cast perfetto dove professionisti (Maya Sansa e Alba Rohrwacher, ottime; Claudio Casadio, sorprendente) e non (la piccola Greta Zuccheri Montanari nel ruolo di Martina) sanno trasmettere un' immagine indimenticabile di verità e di dolore.
Paolo Mereghetti, Corriere della Sera

Un mosaico di storie incrociate sullo sfondo, una bambina che lotta per la sopravvivenza, nella neve e nel sangue, portandosi dietro la culla con un neonato, lasciando lo spettatore inchiodato alla poltrona, a chiedersi se ce la farà o meno a salvarsi dal macello (la risposta arriva solo nell'ultima scena). Paesaggi di sogno catturati in fotogrammi che sembrano dei quadri, la vita degli anni della guerra ricostruita con filologia poetica, oggetti dimenticati (come la macchina di legno per le tabelline in una scuola poverissima) lingue che si incrociano come in una babele, senza comprendersi. Emozioni pennellate con fotogrammi, piccole grandi invenzioni. L'uomo che verrà è quasi un film muto, senza bisogno di traduzioni o sottotitoli, in cui gli sguardi raccontano più delle parole, e le musiche irrompono con la forza di un coro di voci bianche struggente, ma in cui tutto è asciutto, come se la sceneggiatura fosse stata rifinita con il bisturi. Giorgio Diritti ha composto un affresco sorprendente. Provate a dimenticarvi, prima di andare al cinema, che il film parla della strage di Marzabotto. Dimenticate per un attimo anche che è un film girato in dialetto, con sottotitoli. Andate a vederlo non come se fosse una storia sulla guerra di Liberazione del '43-'45 (ovviamente è anche questo), ma come un film su tutte le guerre e su tutte le speranze, un film sull'amore e sull'odio.
Luca Telese, Il Fatto Quotidiano

Giorgio Diritti (Bologna, 1959) ha lavorato insieme a Pupi Avati e Ermanno Olmi. Dopo alcuni corti (Cappello da marinaio, Dio, Dal buio), documentari (Il denaro, Con i miei occhi) e un film tv (Quasi un anno, 1993), esordisce con Il vento fa il suo giro.

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